Cultura del riso, Carnevale e Realismo grottesco
Michail Michajlovič Bachtin
Le vicissitudini della vita e dell’opera del critico letterario e filosofo russo Michail Michajlovič Bachtin (1895 – 1975) sono strettamente legate alla situazione politica del suo paese di origine. Come molte delle sue opere, il saggio dal titolo “L’opera di Rabelais e la cultura popolare” [Rabelais and His World – Творчество Франсуа Рабле и народная культура средневековья и Ренессанса] su Gargantua e Pantagruele fu scritto già negli anni Trenta ma la pubblicazione poté avvenire soltanto nel 1965. Il pubblico occidentale ebbe l’occasione di conoscere l’opera tre anni dopo, nel 1968 grazie alla traduzione inglese di Helene Iswolsky. La prima versione italiana fu pubblicata nel 1979 dall’Einaudi.
Dopo la laurea in filologia nel 1918 Bachtin fu impegnato in diversi circoli culturali (letterari, filosofici e religiosi), attività che gli procurò l’arresto nel 1928. Fu condannato a dieci anni di lavori forzati ma a causa di gravi problemi di salute (un osteomielite che portò all’amputazione di una gamba nel 1938) la pena fu convertita in esilio in Kazakhistan. Rimase per tutta la sua vita un autore non grato al regime e fu costretto a pubblicare molte opere sotto nome di amici o conoscenti. Quando dopo la guerra presentò la sua opera su Rabelais come tesi di dottorato presso l’Istituto della letteratura mondiale di Mosca non ottenne il dottorato di ricerca ma una qualifica inferiore. L’abilitazione all’insegnamento universitario gli fu negata a Mosca, ma nel Dopoguerra riuscì a coprire una posizione universitaria alla facoltà di letteratura di Saransk (una cittadina nella Russia orientale) dove dal 1957 diresse il dipartimento di lettere.
E’ molto interessante come anche le sue opere accademiche riflettono seppur in maniera velata il clima repressivo dello Stalinismo. La risata di Rabelais, la veritá ridens per Bachtin era in grado di degradare e umiliare i potenti.[1] Si possono facilmente trovare dei parallelismi tra il Cattolicesimo del 16° secolo in cui visse Rabelais e lo Stalinismo del 20° secolo che dovette subire Bachtin. I teologi della Sorbonna si accanirono contro Rabelais, ma pur avendo vissuto quattro secoli prima egli ebbe molti più protettori del critico russo e alcuni personaggi eminenti dell’epoca (Francesco I, diversi cardinali) lo appoggiarono semplicemente per l’amore dell’arte.[2] Quando Bachtin scrive che il realismo grottesco è realizzabile soltanto in un mondo senza paura non possiamo fare a meno di pensare al clima politico che regnava negli anni Trenta in Russia.[3]
I concetti di Carnevale e Realismo grottesco
Oggi L’opera di Rabelais e la cultura popolare è universalmente riconosciuto un classico tra gli studi sul Rinascimento francese. La tesi sostenuta da Bachtin è che Rabelais per secoli era stato frainteso dal momento che nessuno si era mai occupato dell’analisi linguistica dello stile popolare dell’autore. Proprio per caratterizzare questo stile, l’autore introduce in letteratura il concetto di “carnevale”; analizza la funzione sociale del carnevale come strappo alla vita di tutti i giorni dove il ricco diventa uguale al povero e tutte le convenzioni vengono rovesciate. Il carnevale per Bachtin è una manifestazione della collettività durante la quale subentra una temporanea sospensione dell’ordine sociale, delle gerarchie e dei privilegi.[4] Questo mondo alla rovescia non può essere osservato dall’esterno ma deve essere vissuto in prima persona. La risata che sta alla base dei riti carnevaleschi per Bachtin è completamente staccata dal dogmatismo della Chiesa.[5]
Un altro termine coniato da Bachtin in quest’ambito è il concetto estetico del “realismo grottesco”.[6] Alla base del grottesco stanno la risata e l’esperienza carnevalesca che svolgono un ruolo liberatorio.[7] Soprattutto i primi due libri del Gargantua e Pantagruele sono ricchissimi di episodi di realismo grottesco (la nascita di Gargantua, la passeggiata di Rabelais nella bocca di Pantagruele, la sete di Pantagruele, la resurrezione di Epistemone ecc.).[8] Questo concetto estetico è stato utilizzato anche nella Commedia dell’Arte italiana del 16° secolo e nelle opere teatrali di Molière del secolo dopo. Anche nel Don Chisciotte della Mancia di Miguel Cervantes ritroviamo il realismo grottesco in diversi episodi e nella figura di Sancio Panza.
La lotta tra Carnevale e Quaresima di Pieter Bruegel il Vecchio
Il realismo grottesco non è un concetto che si limita alla letteratura ma trova applicazione anche in pittura. I due artisti più rappresentativi in tal senso furono senz’altro Hieronymus Bosch (1450 – 1516) e Pieter Bruegel il Vecchio (1525/1530 – 1569) che vengono citati anche dallo stesso Bachtin[9]. Al Kunsthistorisches Museum di Vienna è conservato il dipinto La Lotta tra Carnevale e Quaresima che Bruegel eseguì nel 1559. Anche Bosch aveva dipinto un quadro meno noto nel 1510 che rappresenta il Combattimento tra Carnevale e Quaresima. L’opera di Bruegel il Vecchio è una delle sue prime in grande formato e analogamente ai Giochi di bambini del 1560 vi figurano moltissimi personaggi.
Al centro troviamo le figure della Quaresima e del Carnevale. L’uomo che raffigura il Carnevale è seduto su una botte di vino ed è molto grasso. In mano tiene un maiale su uno spiedo e viene seguito da altri personaggi che portano diversi tipi di cibi e leccornie. La personificazione della Quaresima è una donna e siede su un piccolo carello che viene trascinato da altre due donne. Porta in testa un’arnia di paglia che simboleggia la Chiesa. E’ magra e viene circondata da diversi cibi tipici per la Quaresima (il pesce, una specie di pane azzimo, brezel senza sale, cipolle). Bruegel fu un eccezionale osservatore dell’umanità ma a causa del clima repressivo della sua epoca (i Paesi Bassi all’epoca erano sotto il dominio dei spagnoli) non poteva apertamente mostrare le sue idee religiose e politiche.
Analogamente ad Erasmo da Rotterdam Bruegel non aveva mai preso partito né per l’Inquisizione cattolica né per il fanatismo sostenuto da Calvino e Lutero. Molte sue opere traevano ispirazione da Bosch e Sebastian Brant (La nave dei folli è del 1494) e ci permettono di conoscere diversi dettagli della vita dell’epoca. Nel quadro della lotta tra Carnevale e Quaresima il pittore non si schiera dalla parte della caritas quaresimale come si potrebbe presumere, ma critica anche la cupido carnevalesca. La Quaresima veste un mantello bluastro e siede su una sedia blu – un colore che all’epoca era un chiaro segno di ipocrisia (Mettere il mantello blu al proprio marito significava tradirlo come illustrano i Provverbi fiamminghi dello stesso Bruegel).
Anche molti mendicanti del quadro appaiano falsi e piuttosto opportunisti visto che si posizionano davanti alla chiesa. Una donna che chiede l’elemosina porta sulla schiena una piccola scimmia che simboleggia la falsità del suo gesto. Da una parte troviamo la finta devozione e l’impegno religioso fanatico (p.es. le indulgenze, l’ipocrisia) dall’altra l’esagerazione dell’ingordigia, il peccato della gola, e un mancato rispetto di tutte le convenzioni. Pare che in un mondo popolato dalla follia si può solo seguire il buffone vestito di rosso e giallo/verde come fa la coppia raffigurata al centro del quadro.
Altri concetti estetici di Bachtin
Lo studioso sovietico si impegna a scrivere una storia della risata che anche secondo Rabelais contraddistingue l’uomo.[10] L’autore rinascimentale racconta innumerevoli episodi comici e fa ridere i suoi lettori, sovente la sua satira però va al di là del puro divertimento. Il suo humour è talvolta nero, basti pensare ai montoni di Panurgo o al giudice Brigliadoca che decide le sue sentenze senza leggere i fascicoli, tirando i suoi dadi. Lui stesso avverte infatti il lettore che “gli argomenti qui trattati non sono così scherzosi come il titolo faceva presumere”[11]
Analizzando Bachtin dobbiamo costatare che era profondamente influenzato dal formalismo russo che perseguiva una stretta cooperazione tra linguistica e teoria letteraria. Due concetti molto fruttuosi che lo studioso sviluppò nella sua opera Problemi della poetica di Dostoevskij del 1929 (pubblicata da Einaudi nel 1968 con il titolo Dostoevskij. Poetica e stilistica) sono quelli della “polifonia” e della “dialogicità”. Il romanzo polifonico permette più registri linguistici e sull’esempio delle figure di Dostoevskij, già introdotte nell’articolo su “Ricordi dal sottosuolo”, Bachtin mostra che in un’unica opera letteraria possono essere presenti più voci, opinioni e punti di vista attraverso diversi personaggi che culminano in una verità polifonica (e non unica).
La polifonia è strettamente legata al carnevale dove avviene un’interazione di più voci e una rottura delle convenzioni che porta ad una liberazione dalle verità predominanti. La dialogicità è legata alla polifonia in quanto il romanzo polifonico è anche dialogico. Nelle opere di Dostoevskij avviene un grande dialogo tra i personaggi, le idee dentro e fuori il romanzo (storia, estetica, pittura, filosofia) e gli episodi narrati. Siamo di fronte ad un romanzo aperto e l’influenza dell’autore sul lettore è molto ridotta. Le teorie di Bachtin sono molto innovative soprattutto in considerazione dell’epoca storica in cui vennero sviluppate: dal 1934 in poi tutti gli scrittori dovettero attenersi alla dottrina del Realismo socialista, di cui abbiamo già scritto a proposito dell’opera di Milan Kundera, e i concetti di polifonia o realismo grottesco erano diametralmente opposti a questa dottrina.
L’importanza della risata per l’opera di Rabelais è indiscussa, l’autore rinascimentale non può in ogni caso essere definito un autore umoristico. I suoi romanzi sono ricchissimi di riferimento storici e letterari e costituiscono anche testimonianze uniche sulle conoscenze mediche dell’epoca. Il linguaggio popolare di Rabelais che rispecchia quello dei ceti bassi che frequentavano il mercato può essere considerato un mezzo stilistico, visto che nell’opera troviamo innumerevoli riferimenti dotti. Anche Giordano Bruno fa uso di vocaboli osceni nei suoi testi e li affianca a termini filosofici. Come i quadri di Bruegel che ritraevano i contadini non venivano certo appesi da chi vi figurava, anche l’opera di Rabelais non era mai stata concepita per i ceti bassi nonostante il suo stile a tratti “popolare”. Siamo semplicemente di fronte ad una pluralità del linguaggio, a un testo polifonico per dirla alla Bachtin e ad un’apertura eccezionale di una grande mente del Cinquecento.
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[1] “Medieval laughter, when it triumphed over the fear inspired by the mystery of the world and by power, boldly unveiled the truth about both. It resisted praise, flattery, hypocrisy. This laughing truth, expressed in curses and abusive words, degraded power. The medieval clown was also the herald of this truth.” (Mikhail Bakhtin: Rabelais and his world. Translated by Helene Iswolsky. Bloomington: Indiana University Press 1984 [1968], 92f)
[2] „Quel che mi sembra assai più stupefacente e degno di lode, è la protezione a lui offerta da alcuni potenti del suo tempo, come il cardinale du Bellay, il cardinale Odet, e soprattutto il Re di Francia Francesco I […] Il motivo del loro atteggiamento era più nobile; essi amavano la letteratura e le arti. [Milan Kundera: I testamenti traditi. Milano: Adelphi, 1993, p. 35]
[3] “Complete liberty is possible only in the completely fearless world.” [Bakhtin, Rabelais, 47]
[4] Cfr. „As opposed to the official feast, one might say that carnival celebrated temporary liberation from the prevailing truth and from the established order; it marked the suspension of all hierarchical rank, privileges, norms, and prohibitions.“ (Bakhtin, Rabelais, 10)
[5] Cfr. “The basis of laughter which gives form to carnival rituals frees them completely from all religious and ecclesiatic dogmatism, from all mysticism and piety.” [Bakhtin: Rabelais, 7]
[6] Cfr.:„Actually, the images of the material bodily principle in the work of Rabelais (and of the other writers of the Renaissance) are the heritage, only somewhat modified by the Renaissance, of the culture of folk humor […]We shall call it conditionally the concept of grotesque realism. [Bakhtin, Rabelais, 18]
[7] Cfr.:“The principle of laughter and the carnival spirit on which grotesque is based destroys this limited seriousness and all pretense of an extratemporal meaning and unconditional value of necessity. It frees human consciousness, thought, and imagination for new potentialities” [Bakhtin, Rabelais, 49]
[8] Cfr. François Rabelais: Gargantua e Pantagruele. Intrudozione e cura di Lionello Sozzi. Traduzioni e note di Antonella Amatuzzi, Dario Cecchetti, Paola Cifarelli, Michele Mastroianni, Lionello Sozzi. Testo francese a cura di Mireille Huchon. Milano: Bompiani. 2012.
[9] Cfr. Bakhtin, Rabelais, 27
[10] Rabelais: Gargantua e Pantagruele, Gargantua Al lettore, 11: “Perché è il riso che contraddistingue l’uomo”
[11] Rabelais, Prologo dell’autore [Gargantua], 15