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Filosofia Letteratura

Le Confessioni di Agostino: aspetti filosofico – morali

Analisi di un classico della cultura occidentale

Introduzione

Augustinus Aurelius noto anche con il nome di Sant’Agostino o Agostino d’Ippona fu un filosofo, vescovo e teologo di lingua latina nonché padre della Chiesa.[1] Nacque il 12 novembre del 354 a Tagaste in Numidia, l’odierna Souk Ahras in Algeria. In quei tempi il Nordafrica era il granaio dell’Impero Romano nonchè un’ottima fonte di tasse. Agostino era di etnia berbera ma di cultura ellenistica-romana e insieme ad Apuleio uno dei pochi scrittori latini di origini nordafricane che leggiamo ancora oggi. Sappiamo molto della sua vita grazie alle Confessioni (Confessionum libri XIII) che scrisse all’età di 44 anni nel 398 quando ormai era vescovo di Ippona. Nelle Confessioni Agostino non narra soltanto la sua vita a Dio menzionando la sua conversione al Cristianesimo come esempio per altri, ma presenta al lettore anche i travagli della sua anima che rendono l’opera straordinariamente moderna.

Resti dell'antica città di Ippona o Hippo Regius (oggi Annaba) in Algeria
Resti dell’antica città di Ippona o Hippo Regius (oggi Annaba) in Algeria

E’ difficile trovare una categoria per questo tipo di autobiografia, possiamo considerare le Confessioni un trattato psicologico e filosofico, un rapporto accurato della sua vita, un’azione pastorale e un’opera di formazione. Agostino non narra quasi mai eventi esteriori o storici ma si focalizza sulla sua interiorità, sull’io nel mondo quasi a voler anticipare la psicologia del profondo. E’ noto il suo percorso che lo portò dal Manicheismo attraverso il Neoplatonismo fino a Sant’Ambrogio che lo battezzò nel 397 all’età di quasi 43 anni. Leggendo le Confessioni ci rendiamo soprattutto conto che Agostino solo nel tempo sarebbe diventato il grande dogmatico della Chiesa cattolica e che per giungervi aveva attraversato un percorso spesso tortuoso, ponendosi soventemente domande molto “umane” e vicine a quelle nostre attuali. Qui ci concentreremo su alcuni aspetti filosofici e morali dal momento che gli aspetti religiosi dell’opera di Agostino sono ampiamente noti e soprattutto già stati trattati in numerosissime opere teologiche.

Infantia et pueritia

Sant’Agostino, particolare dell’altare della Canonica di Santa Maria di Vezzolano (Albugnano, AT) risalente alla fine del XV secolo. Foto di la Cabalesta
Sant’Agostino, particolare dell’altare della Canonica di Santa Maria di Vezzolano (Albugnano, AT) risalente alla fine del XV secolo.
Foto di la Cabalesta

Le Confessioni iniziano con un’invocazione a Dio che però non deve assolutamente allontanare il lettore poco avvezzo alle letture sacre. Segue il racconto dell’infanzia e dell’adolescenza con alcuni episodi significativi. Troviamo interessanti suggerimenti pedagogici sia dal punto di vista dello studente che dell’insegnante e veniamo a sapere le materie scolastiche più amate da Agostino. Fin dai primi studi preferiva le materie umanistiche alla matematica: “L'”uno più uno due, due più due quattro” era una cantilena odiosa per me, mentre era spettacolo dolcissimo, eppur vano, il cavallo di legno pieno di armati, l’incendio di Troia e l’ombra di lei, di Creusa”.[2] E’ molto sorprendente per quei tempi che Agostino anche negli anni successivi non imparò mai il greco, dovendosi quindi accontentare delle traduzioni per lo studio della filosofia greca.

Mentre studiava retorica a Cartagine fu sedotto sia dalle passioni amorose che dagli spettacoli teatrali, considerati anch’essi in qualche modo immorali. Qui dobbiamo tenere conto della famiglia di Agostino; la madre Monica era una cristiana devota e condizionò parecchio il figlio con le sue tendenze predicatorie che infine avrebbero anche spinto il marito pagano a convertirsi. Agostino già da giovane considerava l’amicizia il bene più grande tra quelli terreni e la riteneva più genuina e pura dell’amore carnale: “Ma non mi tenevo nei limiti della devozione di anima ad anima, fino al confine luminoso dell’amicizia. Esalavo invece dalla paludosa concupiscenza della carne e dalle polle della pubertà un vapore, che obnubilava e offuscava il mio cuore. Non si distingueva più l’azzurro dell’affetto dalla foschia della libidine. L’uno e l’altra ribollivano confusamente nel mio intimo e la fragile età era trascinata fra i dirupi delle passioni, sprofondata nel gorgo dei vizi.”[3] Va tenuto a mente che un vescovo ci parla con molta sincerità dei suoi peccati giovanili ormai lontani dalla sua concezione. Abbiamo citato il passaggio anche per far assaporare il linguaggio quasi barocco in cui si intuiscono le doti di un retorico brillante. La traduzione usata è quella di Carlo Carena per l’Einaudi. 

Vittore Carpaccio: Sant’Agostino nello studio o visione di Sant’Agostino, 1502, Venezia: Scuola di San Giorgio degli Schiavoni

Oltre all’amore carnale Agostino vedeva con occhio critico anche la sua passione giovanile per il teatro: “Mi attiravano gli spettacoli teatrali, colmi di raffigurazioni delle mie miserie e di esche del mio fuoco. Come avviene che a teatro l’uomo cerca la sofferenza contemplando vicende luttuose e tragiche? e che, se pure non vorrebbe per conto suo patirle, quale spettatore cerca di patirne tutto il dolore, e proprio il dolore costituisce il suo piacere? Strana follia, non altro, è questa.”[4] Al contrario di Aristotele secondo cui la catarsi costituiva una purificazione dell’anima, Agostino valuta moralmente deplorevoli gli spettacoli teatrali perché non portano alla misericordia ma all’eccitazione causata dalle sofferenze altrui (peraltro finte). Le stesse considerazioni valgono anche per le offese al prossimo e per il gusto del male altrui che si manifesta per esempio negli spettatori di incontri gladiatori o in chi deride e beffa il prossimo.[5] Data l’importanza di una condotta moralmente ineccepibile stupisce molto il comportamento deplorevole di Agostino in un rapporto amoroso di cui ci offrono testimonianza le Confessioni.

Floria

L'altare della Canonica di Santa Maria di Vezzolano (Albugnano, AT) con Sant'Agostino a destra, fine XV secolo. Foto di la Cabalesta
L’altare della Canonica di Santa Maria di Vezzolano (Albugnano, AT) con Sant’Agostino a destra, fine XV secolo. Foto di la Cabalesta

Dopo la conclusione dei suoi studi Agostino iniziò a lavorare come insegnante di retorica a Cartagine, un lavoro che avrebbe continuato per 11 anni tra il Nordafrica e l’Italia (Roma e Milano) prima di farsi monaco pur non essendone mai del tutto convinto. “In quegli anni insegnavo retorica: vinto cioè dalla mia passione, vendevo chiacchiere atte a vincere cause.”[6] Dal 372 in poi Agostino convisse con una compagna definita “concubina” dalla letteratura cristiana, con la quale avrebbe trascorso quasi 15 anni della sua vita, ed ebbe il suo unico figlio Adeodato, nato intorno al 373, che sarebbe morto a soli 17 anni nel 390. Non sappiamo quasi nulla della sua compagna ma Jostein Gaader nel suo romanzo Vita Brevis del 1996 dopo secoli le darà finalmente un nome (Floria) facendole scrivere una lunga epistola accusatoria ad Agostino.[7] “Ancora in quegli anni tenevo con me una donna, non posseduta in nozze, come si dicono, legittime, […] una sola, comunque, e a cui prestavo per di più la fedeltà di un marito.”[8] Nel 385 Agostino rimandò invece la sua amata in Africa (dopo averla portata con sé in Italia) e le strappò anche il figlio, tenendolo con sé. Dietro questo gesto moralmente deplorevole fu la madre Monica che aveva trovato un matrimonio vantaggioso per il figlio con una ragazza molto giovane. Pare la solita storia della suocera ambiziosa e del figlio succube che non si impone. Anche se alla fine non si sposerà mai, il rapporto con Floria ormai era interrotto. Nelle Confessioni Agostino ammette un attaccamento morboso da parte della madre.[9] Ancora oggi nella Chiesa cattolica è rimasto qualche strascico di questo atteggiamento quando fidanzamenti o convivenze anche di lunghissima data non vengono considerate come un matrimonio o un legame stabile da parte di certi puristi anche se non presentano nessuna differenza sostanziale.

Amicitia

Abbiamo già parlato della grandissima importanza che il giovane Agostino dava all’amicizia. Infatti nella sua lunga vita fu sempre circondato da amici. Nel quarto libro troviamo una riflessione molto toccante sulla morte di un suo amico. “L’angoscia avviluppò di tenebre il mio cuore. Ogni oggetto su cui posavo lo sguardo era morte. Era per me un tormento la mia patria, la casa paterna un’infelicità straordinaria. Tutte le cose che avevo avuto in comune con lui, la sua assenza aveva trasformate in uno strazio immane.”[10] Agostino è troppo ferito dalla perdita per trovare conforto in Dio. Pensa a Oreste e Pilade che avrebbero accettato di morire solo uno per l’altro o insieme, “essendo per loro peggio di quella morte il vivere non insieme.”[11] Riflette anche sulla morte che volente o nolente fa parte della vita e tocca a tutti noi. Le cose nel mondo nascono e svaniscono, alcune invecchiano e tutte muoiono.

La metafora del mendicante felice

Sant'Agostino nello studio
Sandro Botticelli: Sant’Agostino nello studio, 1480, Firenze. (Due versioni, una negli Uffizi e un’altra nella Chiesa di Ognissanti.

La ricerca della felicità è un argomento molto frequente nelle Confessioni. Agostino riflette su un mendicante allegro che era più felice di lui pur non possedendo quasi nulla: “Il risultato che egli aveva ottenuto con ben pochi e accattati soldarelli, ossia il godimento di una felicità temporale, io inseguivo attraverso anfratti e tortuosità penosissime. Egli non possedeva, evidentemente, la vera gioia; ma anch’io con le mie ambizioni ne cercavo una più fallace ancora, e ad ogni modo egli era allegro, io angosciato, egli sicuro, io ansioso.”[12] Si rende perfettamente conto di vivere stremato da affanni e timori di cui il mendicante riesce fare a meno. Pur essendo benestante e godendo di una vastissima cultura Agostino non era felice quanto il mendicante. Ancora oggi molti non riescono ad afferrare la felicità perché la loro mente è offuscata da desideri e preoccupazioni spesso vane e si tormentano in continuazione a causa delle loro ambizioni e di quello che gli altri potrebbero pensare di loro. A volte anche la speranza della felicità futura può rendere felici e un benessere passato ci può dare conforto grazie alla memoria: “Delle mie gioie ho il ricordo anche nella tristezza, e così della felicità nell’afflizione.”[13] Possiamo renderci invece infelici e rovinare la felicità presente con la paura di perderla: “Nelle avversità desidero il benessere, nel benessere temo le avversità.”[14] Oltre ad Agostino anche un altro importante rappresentante della filosofia medievale avrebbe riflettuto sulla felicità: Severino Boezio nella sua Consolazione della filosofia.

La memoria

La memoria costituisce per Agostino un’istituzione indispensabile, “dove riposano i tesori delle innumerevoli immagini di ogni sorta di cose, introdotte dalle percezioni; dove sono pure depositati tutti i prodotti del nostro pensiero, ottenuti amplificando o riducendo o comunque alterando le percezioni dei sensi, e tutto ciò che vi fu messo al riparo e in disparte e che l’oblio non ha ancora inghiottito e sepolto.”[15] Grazie alla memoria possiamo evocare tutte le immagini che vogliamo ed essa permette le tradizioni, le culture, l’arte e la storia. Quello che entra nella memoria sono le immagini delle cose percepite o le idee platoniche. Secondo la scienza moderna la memoria completa addirittura il nostro senso più nobile, la vista. 

Spesso però cerchiamo al di fuori di noi quello che abbiamo già dentro. C’è un bellissimo pasaggio delle Confessioni che ha ispirato anche Francesco Petrarca mentre lo leggeva sul Mont Ventoux: “Eppure gli uomini vanno ad ammirare le vette dei monti, le onde enormi del mare, le correnti amplissime dei fiumi, la circonferenza dell’Oceano, le orbite degli astri, mentre trascurano se stessi.”[16] Petrarca commenta questo passo nelle Epistole Familiares: “Così a quello che letto io aveva mi tenni contento; e tacendo mi feci a considerare la stoltezza dei mortali, che la parte più nobile della natura disprezzando, si perdono in mille e vane speculazioni, e quel che dentro se stessi trovar potrebbero van cercando al di fuori.”[17] Talvolta cerchiamo la felicità lontano che abbiamo vicino e la frenesia ci spinge a imprese sempre nuove togliendoci il tempo di riflessione e crescita interiore.

Le Confessioni sono un’opera introspettiva e danno moltissimo valore ai sentimenti e ai moti dell’anima trascurando il mondo esterno che non vi entra. Ancora oggi la mancata focalizzazione sul proprio interno può costituire anche una fuga, preferiamo talvolta cercare compiti lontani per non doverci concentrare su noi stessi. E’ sorprendente per la sua epoca che Agostino attribuisca la memoria anche agli animali: “Hanno infatti la memoria anche le bestie e gli uccelli, altrimenti non ritroverebbero i loro covi e i loro nidi e le molte altre cose ad essi abituali, poiché senza memoria non potrebbero neppure acquistare un’abitudine.”[18] Molti grandi pensatori non solo amavano e rispettavano gli animali, ma attribuivano loro anche capacità che la scienza avrebbe provate solo secoli dopo. 

Quid est enim tempus?

Questo però posso dire con fiducia di sapere: senza nulla che passi, non esisterebbe un tempo passato; senza nulla che venga, non esisterebbe un tempo futuro; senza nulla che esista, non esisterebbe un tempo presente. Due, dunque, di questi tempi, il passato e il futuro, come esistono, dal momento che il primo non è più, il secondo non è ancora? E quanto al presente, se fosse sempre presente, senza tradursi in passato, non sarebbe più tempo, ma eternità. Se dunque il presente, per essere tempo, deve tradursi in passato, come possiamo dire anche di esso che esiste, se la ragione per cui esiste è che non esisterà? Quindi non possiamo parlare con verità di esistenza del tempo, se non in quanto tende a non esistere.[19]

Probabilmente da questo passaggio Martin Heidegger ha tratto ispirazione per la sua opera monumentale Sein und Zeit (Essere e Tempo) (1927) considerata fondamentale per la filosofia del 20° secolo. Le riflessioni di Agostino sono molto interessanti perché egli vede il tempo come una dimensione della nostra coscienza. Una condizione del tempo è il continuo mutarsi delle cose e lo possiamo misurare solo al suo passaggio. Dividendo il tempo in passato, presente e futuro, Agostino non concede un’esistenza obiettiva al tempo ma rende la sua percezione soggettiva. Ovviamente oggi grazie alle scoperte scientifiche sappiamo molto più del tempo ma Agostino ne ha considerato per primo la dimensione psicologica, ispirando altre opere filosofiche. Nelle Confessioni molte tematiche filosofiche vengono solo accennate. Agostino approfondisce alcune in altre opere, ma non è mai stato un pensatore sistematico come per esempio Porfirio. Per certi versi la sua opera mostra affinità con i Saggi di Montaigne.

La filosofia neoplatonica e Plotino

Dopo l’esperienza deludente dei Manichei Agostino si rivolge alla filosofia neoplatonica. Uno dei primi libri che legge giá da ragazzo è l’Hortensius di Cicerone, purtroppo non giunto fino a noi. Il più influente tra i filosofi greci per Agostino fu Plotino (203/05 – 270), che ci è stato tramandato anche grazie alla sua lettura delle Enneades, pubblicate postume dal suo alunno Porfirio (233 – 305). Oggi la familiarità con i due filosofi si deve a Giacomo Leopardi che nelle Operette morali dedicò loro il dialogo tra Plotino e Porfirio. Nei secoli a venire, Plotino fu riscoperto durante il Rinascimento e Marsilio Ficino eseguì una traduzione latina delle Enneades. Dei neoplatonici Agostino apprezza soprattutto lo scetticismo: “Mi era nata infatti anche l’idea che i più accorti di tutti i filosofi fossero stati i cosiddetti accademici, in quanto avevano affermato che bisogna dubitare di ogni cosa, e avevano sentenziato che all’uomo la verità è totalmente inconoscibile.”[21] Anche se Agostino lo usa con una certa frequenza, il concetto di verità è effettivamente molto difficile da definire e dovrebbe sempre essere molteplice. Non c’è mai una sola verità. Escluderebbe la libertà e laddove regna ci troviamo in una dittatura. 

Scuola di Atene
Raffaello Sanzio: Scuola di Atene, 1509-11, Città del Vaticano: Musei Vaticani

Insieme a Gaio Mario Vittorino (290 -364) che era di ampie vedute, Agostino voleva creare un saldo collegamento tra filosofia e cristianesimo proprio passando dal Neoplatonismo. “Vittorino […] diceva a Simpliciano, non in pubblico, ma in gran segreto e confidenzialmente: “Devi sapere che sono ormai cristiano”. L’altro replicava: “Non lo crederò né ti considererò nel numero dei cristiani finché non ti avrò visto nella chiesa di Cristo”. Egli chiedeva sorridendo: “Sono dunque i muri a fare i cristiani?””[22] Vittorino si convertì in età matura al cristianesimo, circa 10 anni prima della sua morte, ma anche da cristiano mantenne la concezione filosofica neoplatonica. La domanda ironica se sono i muri di una chiesa a fare i cristiani evidenzia infatti che molti che entrano in chiesa non sono più cristiani di altri che non ci mettono mai piede. Chi crede in Dio non deve necessariamente entrare in una Chiesa e professare la sua fede insieme ad altri. Può benissimo condurre una vita moralmente “cristiana” al di fuori di quelle mura. Baruch Spinoza avrebbe messo per iscritto questa critica al culto istituzionalizzato e ai riti secoli dopo, ma ancora nel Seicento fu aspramente criticato da tutti, ebrei, cattolici e calvinisti.

Cosa è rimasto di Agostino? Tutt’ora le biblioteche delle facoltà teologiche pullulano di testi filosofici e l’affinità tra filosofia e cristianesimo si è mantenuta nei secoli. Oggi la Chiesa cattolica dovrebbe prendere come modello personaggi come Vittorino che aderì ad un cristianesimo colto di ampie vedute e non Monica, una figura di dubbia moralità caratterizzata dalla manìa di far convertire e portare sulla ”retta” via chiunque incrociasse il suo cammino e di imporre la sua volontà agli altri. Altrimenti rischia di far nascere religiosi violenti ed intolleranti che seminando fanatismo fomentano guerre. Proprio grazie all’affinità con la filosofia, la religione cristiana è rimasta più aperta di altre dottrine per quanto riguarda lo studio e appunto l’amore per la sapienza. Nel caso della religione cattolica non possiamo fare a meno di pensare quanti papi erano dei raffinatissimi conoscitori d’arte nonchè mecenanti eccezionali senza i quali né Michelangelo né Raffaello (per citarne solo due) avrebbero potuto creare i loro capolavori. Nel campo delle lettere basti pensare a quanto furono colti i monaci nei secoli scorsi e su che tipo di biblioteche potessero contare. Per molti secoli diventare monaco era l’unica via per poter dedicare la propria vita allo studio. Nelle Confessioni Agostino ci pare sorprendentemente vicino rispetto ad altri teologi e filosofi e ci parla con tono familiare pur avendo vissuto 17 secoli fa. L’opera ha ispirato Jean-Jacques Rousseau per le sue omonime Confessions del 1792/98 e Francesco Petrarca che le prese invece come modello per il suo Secretum (De secreto conflictu curarum mearum) (1347/53 circa).


[1] Quest’ultimi erano scrittori cristiani le cui opere furono considerate fondamentali per la dottrina. Alcuni padri della Chiesa particolarmente autorevoli come San Girolamo, Sant’Ambrogio e appunto Sant’Agostino erano considerati dottori della Chiesa.

[2] Agostino: Le Confessioni. A cura di Maria Bettetini. Traduzione di Carlo Carena. Torino: Einaudi (ET classici) 2015, p. 29.

[3] Agostino, Confessioni, 41

[4] Ibid, 65

[5] Cfr. Ibid, 83f

[6] Ibid, 95 Quando anni dopo avrebbe lasciato il suo lavoro si considerava addirittura uno “spacciatore di parole”: “Al termine delle vacanze vendemmiali avvertii i milanesi di provvedersi un altro spacciatore di parole per i loro studenti, poiché io avevo scelto di passare al tuo servizio e non ero più in grado di esercitare quella professione per la difficoltà di respirare e il male di petto.” (Ibid, 301) Pare che soffrisse di una forma di asma, peggiorata forse anche dal rifiuto del suo lavoro a livello morale.

[7] Cfr. Jostein Gaarder: Das Leben ist kurz. Vita brevis. München: Deutscher Taschenbuch Verlag, 1999 [1996] Tradotto in italiano nel 2000: Jostein Gaarder: Vita brevis. Traduzione di R. Bacci. Teadue, Longanesi, 2000.

[8] Agostino, Confessioni, 95

[9] „Amava la mia presenza al suo fianco come tutte le madri, ma molto più di molte  madri […]“ Ibid,  147

[10] Ibid, 103

[11] Ibid, 104f

[12] Ibid, 177

[13] Ibid, 367

[14] Ibid, 377

[15] Ibid, 343

[16] Ibid, 347

[17] Francesco Petrarca: Familiares o Epistole ai familiari, 350 lettere scritte tra il 1325 e il 1361.

[18] Agostino, Confessioni, 361

[19] Ibid, 431

[21] Agostino, Confessioni, 153

[22] Ibid, 251

2 risposte su “Le Confessioni di Agostino: aspetti filosofico – morali”

Agostino è una figura molto moderna e questa apprezzabile analisi critica ben evidenzia questo aspetto. E’ un uomo come noi, con i suoi dubbi, i suoi sbagli e non teme di raccontarli: questo ce lo rende molto vicino. Interessante scoprire aspetti a me ignoti della madre Monica, figura non priva di lati discutibili. Agostino ci invita a cercare in noi stessi la risposta a molte domande e soprattutto quella serenità dell’animo che non si raggiunge con i beni esteriori. Fermarci, evitare di fuggire, pensare: molto difficile in questa società sempre di corsa, frenetica. Ma già nel suo tempo la frenesia dominava la vita di molti, a quanto pare, e da qui la preoccupazione del santo. Nihil sub sole novi, proprio per questo Agostino merita di essere letto. Avanti con i tempi anche nella considerazione degli animali come esseri dotati di memoria. Fonte di ispirazione e riferimento per filosofi e letterati dopo di lui. E per tutti noi.

Sono d’accordo con te Roberta e ti ringrazio per il commento. Le Confessioni sono state scritte con molta sincerità senza tacere molti episodi “scomodi” come la lunga convivenza o le passioni della gioventù di cui altri si sarebbero quasi certamente dimenticati. A mio avviso la madre Monica è molto sopravvalutata soprattutto alla luce del fatto che è stata fatta Santa. Se fosse stata veramente solo lei l’artefice della sua conversione essa avrebbe avuto luogo almeno 20 anni prima. Anche alcuni gesti come cacciare il figlio di casa per l’adesione ai Manichei o il ruolo menzionato nella combinazione del matrimonio non la rendono una persona equilibrata e serena. Per non parlare del suo leggendario pianto, non per un figlio morto ma per uno vivo che non aveva ancora individuato la retta via. Anch’io ho trovato sorprendente che a quanto pare sia la frenesia che il giogo delle ambizioni caratterizzavano già i tempi di Agostino. Pensa che a un certo punto lamenta che né Sant’Ambrogio (celebre peraltro per la lettura “tacita” ormai diventata la normalità) né lui hanno abbastanza tempo per leggere e propone di assegnare alcune ore fisse allo scopo. Le Confessioni rimarranno sempre un’opera fondamentale nella storia del nostro pensiero e dovrebbero essere letti da tutti a prescindere dalla fede.

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