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Letteratura

L’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters

La scoperta di Cesare Pavese e la traduzione di Fernanda Pivano

[…]
There’s a blind man here with a brow
As big and white as a cloud.
And all we fiddlers, from highest to lowest,
Writers of music and tellers of stories
Sit at his feet,
And hear him sing of the fall of Troy.

[…]
C’è qui un cieco dalla fronte
grande e bianca come una nuvola.
E tutti noi suonatori, dal più grande al più umile,
scrittori di musica e narratori di storie,
sediamo ai suoi piedi,
e lo ascoltiamo cantare della caduta di Troia.[1]

Introduzione

Non c’è nulla che io non abbia letto di Cesare Pavese ma in questo articolo parliamo di un libro di poesia americano che è stato molto caro a lui, tanto da ispirare Lavorare stanca. Pavese fu appassionato della letteratura americana fin dai tempi del liceo e considerava i suoi autori americani preferiti i padri della letteratura moderna. Nell’estate del 1926, fresco della licenza liceale, scrisse al suo ex-insegante di latino e italiano Augusto Monti della sua lettura delle Foglie d’erba di Walt Whitman, opera sulla quale quattro anni dopo avrebbe composto la sua tesi di laurea. Pavese non ha solo scoperto l’Antologia di Spoon River ma l’ha fatta conoscere anche al pubblico italiano tramite la traduzione di Fernanda Pivano pubblicata da Einaudi nel 1943 su sua iniziativa.

Nel suo Ritratto d’un amico Natalia Ginzburg sottolinea la somiglianza tra Pavese e Torino.[2] Nel mio immaginario Pavese oltre che a Torino rassomiglia anche alla campagna piemontese e alle colline che egli amava al pari della città se non di più. Dei suoi romanzi preferisco infatti La luna e i falò che è ambientato completamente tra le colline. La sua vita ebbe inizio in campagna, tra le vigne, le coste e i brani di nebbia e finì bruscamente a Torino dove morì solo in albergo perché in tutta la vita non aveva mai avuta una casa che fosse veramente e solamente sua. Se vogliamo arrivare all’ispirazione della sua meravigliosa raccolta Lavorare stanca dobbiamo inoltrarci fino al Midwest americano dove Edgar Lee Masters scrisse la sua Spoon River Anthology che è peraltro ambientata in provincia.

Cesare Pavese in campagna
Cesare Pavese in campagna

L’Antologia di Spoon River è una raccolta di poesie in verso libero che costituiscono gli epigrafi sepolcrali dei residenti di una cittadina di fantasia (Spoon River), il cui nome deriva dal fiume che bagna Lewistown nell’Illinois dove viveva l’autore. L’originale dell’opera uscì tra il 1914 e il 1915 su una rivista letteraria americana. Edgar Lee Masters (1868 – 1950) di professione faceva l’avvocato e si dedicava alla scrittura soltanto nel suo tempo libero. Il cimitero al quale fa riferimento è quello di Oak Hill a Lewistown che si trova su una collina. La prima poesia si chiama infatti La collina e il suo famoso ritornello “All, all, are sleeping on the hill” si presta molto bene ad essere musicato. In Italia l’Antologia di Spoon River è nota al grande pubblico soprattutto grazie al concept album Non al denaro non all’amore né al cielo di Fabrizio De André del 1971 e viene tuttora utilizzata nelle scuole superiori per l’insegnamento dell’inglese agli adolescenti.

La scoperta di Cesare Pavese e la traduzione di Fernanda Pivano

Dal gennaio del 1930 Cesare Pavese intraprese uno scambio epistolare con Antonio Chiuminatto, un musicista di Torino che risiedeva nel Wisconsin. Pavese gli chiese alcuni testi della letteratura moderna americana, tra i quali figuravano appunto l’Antologia di Spoon River e diverse opere di Ernest Hemingway.[3] Dell’Antologia ne rimase talmente affascinato da scrivere diversi saggi[4] ma l’opera ispirò anche la sua raccolta di poesie Lavorare stanca. “Andava intanto prendendo in me consistenza una mia idea di poesia-racconto, che agli inizi mal riuscivo a distinguere dal genere poemetto.”[5] Quella di Pavese è una poesia-racconto molto innovativa che regala al lettore un’immagine narrativa. La prima volta incontrò qualcosa di simile proprio nell’Antologia di Spoon River. Oltre che poesie-racconto quelle di Lavorare stanca sono anche poesie-immagini che molto spesso dipingono al lettore la vita tra le colline piemontesi. La poesia-racconto è l’esatto contrario dell’ermetismo neorealista in quanto è molto chiara e di immediata comprensione. Anche le poesie dell’Antologia di Spoon River stupiscono con la loro semplicità e chiarezza e costituiscono una testimonianza importante di un nuovo e moderno genere di poesia.

Ernest Hemingway e Fernanda Pivano nel 1948 a Cortina
Ernest Hemingway e Fernanda Pivano nel 1948 a Cortina

Lo stile di Lee Masters fu senz’altro influenzato da Walt Whitman, un altro poeta americano che Pavese adorava e sul quale scrisse la sua tesi di laurea L’interpretazione della poesia di Walt Whitman discussa a Torino nel 1930. Fernanda Pivano (1917-2009) non fu soltanto compagna di classe di Primo Levi ma al liceo D’Azeglio di Torino conobbe anche Cesare Pavese che nell’anno scolastico 1934/35 vi insegnò come supplente. Per ottenere quella supplenza nel suo ex-liceo dovette iscriversi al partito fascista pur non essendo fascista. L’ironia della sorte volle che nello stesso anno fu arrestato e inviato al confino in Calabria per attività antifascista. I due rimasero in contatto dopo la maturità (alla quale sia F. Pivano che P. Levi furono rimandati per motivi politici) e nel 1938 la Pivano, ormai studentessa d’inglese alla facoltà di lettere chiese a Pavese quale fosse secondo lui la differenza tra la letteratura inglese e quella americana che allora non riusciva a cogliere.[6]

In tutta risposta Pavese qualche giorno dopo le portò quattro libri americani: Leaves of Grass (Foglie d’erba) di Walt Whitman, A Farewell to Arms (Addio alle armi) di Ernest Hemingway, che la Pivano avrebbe tradotto successivamente, Il figlio di Windy McPherson di Sherwood Anderson di cui Pavese ha tradotto alcune short stories e appunto L’Antologia di Spoon River. La Pivano rimase colpita dall’opera di Lee Masters per la sua semplicità e l’interesse per i piccoli fatti quotidiani e cominciò ad abbozzare una traduzione italiana. “Per riconoscerli meglio presi a tradurli, quasi per imprimermeli in mente”[7] Non ne parlò con Pavese ma anni dopo egli trovò il manoscritto in un suo cassetto… La sua reazione dopo la lettura del manoscritto è entrata nella storia: “Allora ha capito che differenza c’è tra la letteratura americana e quella inglese”[8] E’ quasi superfluo aggiungere che Pavese fu anche innamorato della Pivano e le fece più di una proposta di matrimonio ma tra i due non nacque mai nulla di serio. Del resto quasi tutti gli amori di Pavese furono infelici. Al ritorno dal confino in Calabria era finito il suo amore con Tina Pizzardo che aveva sposato un altro e anche la Pivano si sarebbe sposata ancor prima che Pavese morisse.

Il Monviso al tramonto
Il Monviso al tramonto

Per poter far uscire la traduzione della Pivano in piena guerra, Pavese aveva chiesto al ministero di cultura popolare il permesso di pubblicare un’Antologia di S. River come se quest’ultimo fosse un Santo anziché un fiume americano a Lewistown.[9] Per via del primo titolo per molto tempo l’opera di Lee Masters fu abbreviata in Antologia di S. River. La traduzione della Pivano è molto riuscita e la sua nascita ricorda un po’ quella del primo volume della Recherche, La Strada di Swann di Natalia Ginzburg: “Nel ’37, Leone Ginzburg e Giulio Einaudi mi proposero di tradurre A la recherche du temps perdu. Era folle propormelo e folle fu da parte mia accettare. […] Avevo vent’anni. Non avevo mai tradotto niente.”[10]

Oltre alla precisione e all’immedesimazione nel testo nel caso della traduzione letteraria sono fondamentali anche la capacità e la creatività del traduttore. Non è un caso che molti classici furono tradotti da scrittori e che ancora oggi si pubblicano opere nella traduzione di scrittori più o meno famosi. Lo stesso Pavese aveva tradotto Moby Dick di Herman Melville nel 1932 e abbiamo già parlato in un altro articolo delle traduzioni di Rosa Calzecchi Onesti, un’altra “scoperta” di Pavese. Sia la Pivano che la Ginzburg tradussero le loro prime opere da giovani ma erano entrambe scrittrici di una profonda cultura nonché formazione letteraria. La Ginzburg avrebbe ritoccato la sua traduzione negli anni a seguire, non sappiamo se la Pivano abbia fatto lo stesso quando completò l’opera dopo la prima uscita che non fu integrale. Quello che unì entrambe le traduzioni fu la completa identificazione e l’amore per il testo sul quale lavoravano.

E’ molto difficile tradurre bene qualcosa con cui uno non si può identificare. La traduzione dell’Antologia di Spoon River di Fernanda Pivano sarebbe stato l’inizio di una proficua e lunga carriera da traduttrice di molte importanti opere letterarie americane e inglesi (Oltre al già citato Ernest Hemingway, Charles Dickens, Edgar Allan Poe, Gertrude Stein, Jane Austen e molti altri). Per la traduzione italiana di Addio alle armi di Hemingway la Pivano era finita addirittura in prigione in quanto le SS avevano trovato un contratto con la traduttrice presso la sede dell’editore. Cesare Pavese commentò la traduzione dell’Antologia con parole molto lusinghiere “Esplicita è invece la traduzione, tutta pervasa di una gioia ingenua della scoperta, che trascina e convince. […] Qualcuna di queste poesie sembra diventata italiana a poco a poco, prima che nell’atto di tradurla, nell’insistente ricorrervi della memoria.”[11] Proprio per la qualità della traduzione anche in questo articolo proponiamo le poesie sia in versione originale che in traduzione italiana.

Influenze letterarie dell’Antologia di Spoon River

Spoon River
Spoon River

La forma metrica dell’Antologia di Spoon River è il verso libero. Ogni singola poesia è un epigrafe sepolcrale in cui i residenti di un unico villaggio raccontano la loro vita in prima persona. Il risultato non è un mosaico con tanti tasselli indipendenti ma una specie di ragnatela in quanto molti epitaffi (sono quasi 250) contengono anche riferimenti ad altri personaggi con cui i defunti avevano da fare in vita. Un modello è senz’altro l’Antologia Palatina, la celebre raccolta di epigrammi di un gruppo di poeti greci composta nel X° secolo a Costantinopoli. Essa fu rinvenuta soltanto intorno al 1600 nella famosa biblioteca Palatina di Heidelberg che le diede il nome.

Quello che l’Antologia di Spoon River ha in comune con l’Antologia Palatina è la natura trasversale dei personaggi che spaziano dal giudice al pescatore passando dal bottaio. Entrambi i testi fanno inoltre riferimento a diverse figure importanti della storia dell’umanità e sono pieni di riferimenti intertestuali. Anche Pavese riteneva che Lee Masters avesse tratto l’idea formale per la sua opera dagli epigrammi dell’Antologia palatina e lo conferma anche l’autore stesso. Per quanto riguarda lo stile gli fu d’ispirazione la poesia moderna americana, soprattutto Walt Whitman. I Leaves of grass (Foglie d’erba) costituiscono il capolavoro del più celebre poeta americano e il primo nucleo di poesie risale al 1855. Whitman fu senz’altro il precursore del verso libero (chiamato anche whitmaniano) e di una nuova poesia moderna che dall’America raggiunse l’Europa dove molti lo conoscono per la poesia che scrisse dopo la morte di Abraham Lincoln: O capitano! Mio capitano (O Captain! My Captain!) Questa poesia è nota al grande pubblico anche grazie al film Dead Poets Society di Peter Weir (1989).

Edgar Lee Masters
Edgar Lee Masters

Pavese paragonava i morti di Spoon River a quelli di Dante: “Come i morti di Dante, che sono più vivi che in vita, i morti di Spoon River prolungano in una forma sepolcrale tutti i loro malcontenti, le loro passioni.”[12] Il paragone è molto azzeccato perché oggi conosciamo molti contemporanei di Dante proprio grazie ai loro ritratti nella Divina Commedia. Pavese sottolinea però anche le differenze tra i morti delle due opere. Quelli di Dante rientrano in uno schema universale e nessun dannato si interroga sulla propria destinazione o osa criticarla, mentre la modernità dell’Antologia sta proprio nella ricerca delle risposte e nel superamento degli schemi.[13] Lee Masters scisse che “l’antologia greca gli aveva suggerito qualcosa che era «meno del verso ma più della prosa»; e volle superare «una ripetizione degli epigrammi greci, ironici e teneri, satirici e partecipi, come esperimenti di temi sconosciuti» per giungere a una «rappresentazione epica della vita moderna»”.[14] L’autore è senz’altro riuscito nel suo intento, ma mettendo i nomi veri di personaggi spesso defunti da poco tempo non si fece soltanto amici a Lewistown e Petersburg. La nostra scelta delle poesie di Spoon River è senz’altro arbitraria e sicuramente personale ma vorremmo fornire un assaggio di quest’opera che ha profondamente influenzato tutta la poesia moderna e che va assolutamente letta.

Poesie scelte dall’Antologia di Spoon River

Knowlt Hoheimer

I was the first fruits of the battle of Missionary Ridge.
When I felt the bullet enter my heart
I wished I had staid at home and gone to jail
For stealing the hogs of Curl Trenary,
Instead of running away and joining the army.
Rather a thousand times the county jail
Than to lie under this marble figure with wings,
And this granite pedestal
Bearing the words, «Pro Patria».

What do they mean, anyway?[15]

Knowlt Hoheimer

Io fui il primo frutto della battaglia di Missionary Ridge.
Quando sentii la pallottola entrarmi nel cuore
mi augurai di esser rimasto a casa e finito in prigione
per quel furto dei porci di Curl Trenary,
invece di fuggire e arruolarmi.
Mille volte meglio il penitenziario
che avere addosso questa statua di marmo alata,
e il piedistallo di granito
con le parole «Pro Patria».
Tanto, che vogliono dire?[16]

Potremmo chiamarlo un epitaffio anti-militarista e quasi pacifista. Lo stile è ironico e l’autore critica la futilità e gli orrori di ogni guerra. Knowlt Hoheimer si pente amaramente della sua risoluzione di arruolarsi per evitare la prigione. Per quanto poco desiderabile, la detenzione è comunque meglio della morte. Knowlt ha avuto scelta, ma quanti invece sono stati costretti a fare da carne da cannone nelle guerre di questo mondo? E’ ovvio che nessun soldato se ne fa nulla di una misera statua in marmo e di un elogio che è caduto per una qualsiasi patria perché per nessuna patria del mondo vale la pena morire. In italiano il peso della statua è ancora più schiacciante da sopportare che nell’originale, visto che Knowlt Hoheimer non giace sotto la statua ma sente il suo peso addosso.


Aner Clute

Over and over they used to ask me,
While buying the wind or the beer,
In Peoria first, and later in Chicago,
Denver, Frisco, New York, wherever I lived,
How I happened to lead the life,
And what was the start of it.
Well, I told them a silk dress,
And a promise of marriage from a rich man –
(It was Lucius Atherton).
But that was not really it at all.
Suppose a boy steals an apple
From the tray at the grocery store,
And they all begin to call him a thief,
The editor, minister, judge, and all the people—
«A thief», «a thief», «a thief», wherever he goes.
And he can’t get work, and he can’t get bread
Without stealing it, why, the boy will steal.
It’s the way the people regard the theft of the apple
That makes the boy what he is.
[17]

Aner Clute

Molte e molte volte mi chiesero,
mentre pagavano il vino o la birra,
prima a Peoria, e poi a Chicago,
Denver, Frisco, New York, dovunque vissi,
perché mai facessi la vita,
e come avevo incominciato.
Dicevo un abito di seta e la promessa di un riccone –
(Lucius Atherton).
Ma non fu questo.
Immaginate che un ragazzo rubi una mela
dal cesto della drogheria,
e tutti si mettano a chiamarlo ladro,
il giornalista, il prete, il giudice, tutti –
«ladro», «ladro», «ladro», dovunque vada.
E non possa trovar lavoro, né guadagnarsi il pane
se non rubando: ebbene quel ragazzo ruberà.
Il modo come la gente considera il furto
è ciò che rende ladro il ragazzo.[18]

Statua nel cimitero monumentale di Staglieno (Genova)
Statua nel cimitero monumentale di Staglieno (Genova)

In tedesco esiste la parola Erbschuld (traducibile come peccato ereditario) che spiega perché molte prostitute partoriscono a loro volta prostitute. E’ molto difficile uscire da un circolo vizioso che per molti anni viene percepito come unico modo di vivere. A causa delle influenze dell’ambiente in cui crescono, molti figli imitano i vizi dei genitori, siano essi ubriaconi o ladri. Aner Clute spiega come è diventata quello che è e lo fa tramite l’allegoria del ragazzo che ruba una mela. Un importante ruolo giocano anche i pregiudizi degli altri che non permettono di cambiare vita con facilità. La poesia di Aner Clute è molto moralistica e dobbiamo tenere a mente che fu scritta più di 100 anni fa. Rubare è sempre peccato, ma in fondo pagano sempre i ladri di galline e chi ruba veramente la fa sempre franca. Redimersi da un marchio ingombrante come quello di ladro (o appunto di prostituta) non è facile e spesso esso fa in modo che l’unica via di uscita sia continuare a rubare o a prostituirsi. Se si dessero più chance al ragazzo o alla donna e si combattessero i pregiudizi forse potrebbero farcela a lasciarsi il passato alle spalle.


George Gray

I have studied many times
The marble which was chiseled for me –
A boat with a furled sail at rest in a harbor.
In truth it pictures not my destination
But my life.
For love was offered me and I shrank from its disillusionment;
Sorrow knocked at my door, but I was afraid;
Ambition called to me, but I dreaded the chances.
Yet all the while I hungered for meaning in my life.
And now I know that we must lift the sail
And catch the winds of destiny
Wherever they drive the boat.
To put meaning in one’s life may end in madness,
But life without meaning is the torture
Of restlessness and vague desire –
It is a boat longing for the sea and yet afraid.
[19]

George Gray

Molte volte ho studiato
la lapide che mi hanno scolpito:
una barca con vele ammainate, in un porto.
In realtà non è questa la mia destinazione
ma la mia vita.
Perché l’amore mi si offrì e io mi ritrassi dal suo inganno;
il dolore bussò alla mia porta, e io ebbi paura;
l’ambizione mi chiamò, ma io temetti gli imprevisti.
Malgrado tutto avevo fame di un significato nella vita.
E adesso so che bisogna alzare le vele
e prendere i venti del destino,
dovunque spingano la barca.
Dare un senso alla vita può condurre a follia
ma una vita senza senso è la tortura
dell’inquietudine e del vano desiderio –
una barca che anela al mare eppure lo teme.[20]

Claude Monet: Scogliere e barche a vela a Pourville, 1882
Claude Monet: Scogliere e barche a vela a Pourville, 1882

George Gray riflette sulla bellissima metafora della barca con vele ammainate che è raffigurata sulla sua lapide. Lui che ha sempre avuto paura di osare e di issare le vele in vita, in morte se ne pente. Non si è lasciato andare nell’amore perché temeva di essere ingannato e ha sempre evitato le tentazioni dell’ambizione per non incorrere in imprevisti. In morte ha capito che la fame di vita va appagata sempre senza esitare. Dobbiamo avere il coraggio di osare e prendere attivamente in mano il nostro destino, alzare appunto le vele e sfidare i venti del destino. Può essere tortuoso dare un senso alla propria vita, ma vale sempre la pena. Una vita senza senso non vale invece la pena di essere vissuta ed è meglio rischiare la follia che vivere da morto vivente. Pur temendolo, la barca deve spingersi nel mare e non restare in porto con le vele ammainate.


Griffy the Cooper

The cooper should know about tubs.
But I learned about life as well,
And you who loiter around these graves
Think you know life.
You think your eye sweeps about a wide horizon, perhaps,
In truth you are only looking around the interior of your tub.
You cannot lift yourself to its rim
And see the outer world of things,
And at the same time see yourself.
You are submerged in the tub of yourself –
Taboos and rules and appearances,
Are the staves of your tub.
Break them and dispel the witchcraft
Of thinking your tub is life!
And that you know life![21]

Griffy il bottaio

Il bottaio deve intendersi di tinozze.
Ma io conoscevo anche la vita,
e voi che vi aggirate fra queste tombe
credete di conoscere la vita.
Credete che i vostri occhi spazzino su un largo orizzonte, forse,
in realtà state solo guardando le pareti della tinozza.
Non potete sollevarvi ai suoi orli
e vedere il mondo esterno delle cose,
e così vedere voi stessi.
Siete sommersi nella vostra tinozza –
tabù e regole e apparenze,
sono le doghe della vostra tinozza.
Spezzatele e rompete l’incantesimo
di credere che la vostra tinozza è la vita,
e che voi conoscete la vita![22]

La poesia di Griffy è un esempio maestoso di come una breve poesia possa trasmettere al lettore concetti importanti con poche parole. Pur non essendo Freud, il bottaio sa che molte persone sono imprigionate nel loro Io e non riescono a uscire dalla loro routine/tinozza. E’ invece molto importante spezzare le catene dell’abitudine e approdare a nuovi orizzonti. La nostra tinozza non è la vita e tutti dobbiamo osare ad andare oltre. In tedesco c’è il modo di dire Über den Tellerrand blicken (letteralmente guardare oltre il bordo del proprio piatto) che significa appunto ampliare il proprio orizzonte ed essere aperti nei confronti delle novità. Chi è sommerso in tabù, regole e apparenze non potrà mai vivere felice finché non se ne libera una volta per tutte e giunge ad una vita più leggera con meno restrizioni.


The Circuit Judge

Take note, passers-by, of the sharp erosions
Eaten in my head-stone by the wind and rain –
Almost as if an intangible Nemesis or hatred
Were marking scores against me,
But to destroy, and not preserve, my memory.
I in life was the Circuit Judge, a maker of notches,
Deciding cases on the points the lawyers scored,
Not on the right of the matter.
O wind and rain, leave my head-stone alone!
For worse than the anger of the wronged,
The curses of the poor,

Was to lie speechless, yet with vision clear,
Seeing that even Hod Putt, the murderer,
Hanged by my sentence,
Was innocent in soul compared with me.[23]

Il giudice distrettuale

Notate, viandanti, le profonde erosioni
che il vento e la pioggia mi hanno impresso sulla lapide –
come se una Nemesi o un odio intangibili
mi segnassero contro dei punti,
per distruggere, non per salvare, la mia memoria.
Ero in vita il Giudice distrettuale, uno che incideva tacche,
decidendo i casi sui punti che gli avvocati segnavano,
e non sulla giustizia del fatto.
O vento, o pioggia, lasciate in pace la mia lapide!
Perché peggio dell’ira di chi ha subíto il torto,
peggio delle maledizioni dei poveri,
fu il giacermene senza parola, e vedere ben chiaro
che anche Hod Putt l’assassino,
impiccato per mia sentenza,
era, in confronto a me, un innocente.[24]

Cimitero di Staglieno (Genova)
Cimitero di Staglieno (Genova)

La poesia del giudice distrettuale è una delle mie preferite. E’ molto attuale e dopo più di 100 anni sembra tuttora azzeccata per fornire una descrizione del sistema giudiziario. Ancor oggi i giudici non devono rispondere a nessuno quando emettono i loro verdetti e tuttora decidono i casi in maniera arbitraria, valutando solo i punti che gli avvocati segnano anziché i fatti. Molto spesso poi i loro verdetti sono influenzati dall’ideologia. Su alcuni argomenti ci sono delle linee di pensiero dalle quali non è possibile allontanarsi. Ci possono essere tutte le prove scientifiche del caso, ma se c’è un dictat imposto dalle autorità i giudici non se ne discosteranno. Non stupisce quindi che il giudice distrettuale si senta più colpevole del peggiore assassino. Forse perché in morte è giunto alla conclusione che il suo arbitrato era tutt’altro che lodevole e da morto gli sono venuti i rimorsi di coscienza.

Lee Masters faceva l’avvocato. Non era la sua passione, fu una tradizione di famiglia e dopo il successo dell’Antologia si dedicò alla scrittura. Probabilmente fu felice, ma morì poverissimo. Non stupisce quindi che troviamo ben tre giudici tra i personaggi dell’opera. Oltre al giudice distrettuale c’è anche Selah Lively, il giudice della vendetta come mi piace chiamarlo. Visto che ha dovuto fare la gavetta e visto che tutti lo prendevano in giro per la sua statura e la sua povertà alla fine si prende la rivincita sui pezzi grossi che ora lo devono per forza chiamare “Vostro Onore”. Un giudice pervaso da uno spirito di vendetta probabilmente non è un buon giudice, ma non lo fu nemmeno quello distrettuale.

Il giudice Selah Lively

Immaginate di essere alto cinque piedi e due pollici
e di aver cominciato come garzone droghiere
finché, studiando legge di notte,
siete riuscito a diventare procuratore.
[…]

[…] E che nessuno smettesse
di burlarsi della vostra statura, e deridervi per gli abiti
e gli stivali lucidi. Infine
voi diventate il Giudice.

[…]

Ora […] tutti i pezzi grossi
che vi avevano schernito, sono costretti a stare in piedi
davanti alla sbarra e pronunciare «Vostro Onore» –
Be’ non vi par naturale
che gliel’abbia fatta pagare?[25]


Francis Turner

I could not run or play
In boyhood.
In manhood I could only sip the cup,
Not drink-
For scarlet-fever left my heart diseased.
Yet I lie here
Soothed by a secret none but Mary knows:
There is a garden of acacia,
Catalpa trees, and arbors sweet with vines–
There on that afternoon in June
By Mary’s side–
Kissing her with my soul upon my lips
It suddenly took flight.[26]

Francis Turner

Io non potevo correre né giocare
quand’ero ragazzo.
Quando fui uomo, potei solo sorseggiare alla coppa,
non bere –
perché la scarlattina mi aveva lasciato il cuore malato.
Eppure giaccio qui
blandito da un segreto che solo Mary conosce:
c’è un giardino di acacie,
di catalpe e di pergole addolcite da viti –
là, in quel pomeriggio di giugno
al fianco di Mary –
mentre la baciavo con l’anima sulle labbra,
l’anima d’improvviso mi fuggì.[27]

Staglieno (Genova)
Staglieno (Genova)

Si narra che Fernanda Pivano avesse aperto il libro a quella pagina e ne fosse rimasta folgorata. La poesia di Francis Turner sottolinea che anche con una malattia grave la vita vale la pena di essere vissuta. Nonostante le difficoltà che Francis Turner aveva incontrato in vita, la storia d’amore con Mary ne fu l’epilogo felice. E’ spirato appagato e immerso nell’amore. Nessuno dovrebbe giudicare come altri vivono, chi amano e quali sono le loro priorità nella vita. L’anima di Francis è volata via nell’istante della somma felicità, quando fu immerso in un giardino paradisiaco e amato da Mary. Se avesse vissuto di più, sarebbe morto meno felice.


Rev. Abner Peet

I had no objection at all
To selling my household effects at auction
On the village square.
It gave my beloved flock the chance
To get something which had belonged to me
For a memorial.
But that trunk which was struck off
To Burchard, the grog-keeper!
Did you know it contained the manuscripts
Of a lifetime of sermons?
And he burned them as waste paper.[28]

Il reverendo Abner Peet

Non ebbi nulla a ridire
che si vendesse la mia mobilia all’asta
sulla pubblica piazza.
Ciò diede modo al mio amato gregge
di possedere in ricordo
qualcosa di mio.
Ma quel baule che fu aggiudicato
all’oste Burchard!
Lo sapevate che conteneva i manoscritti
di tutta una vita di sermoni?
Lui li bruciò come cartaccia.[29]

Ancor più che oggi un secolo fa c’era molto distacco tra i ceti meno istruiti e quelli con un istruzione superiore. Il contenuto del baule fu sacro al reverendo ma l’oste non riuscì ad apprezzarlo e lo buttò via come se fosse cartaccia. Se pensiamo quanto poco valore viene dato oggi ai libri possiamo capire il reverendo. Quando si vedono i prezzi di alcuni classici ci rendiamo conto dello scarsissimo valore che ormai viene attribuito alla carta stampata. Sarà perché ormai leggere è un attività obsoleta e caduta in disuso con tutte le conseguenze del caso sull’ignoranza dilagante. Qualche anno fa trovai un volume delle opere di Giordano Bruno ad un mercatino. Era dei Meridiani, quelli che quando facevo l’università non si potevano nemmeno prendere in prestito, talmente preziosi erano. Anni dopo mi è stato venduto per un prezzo irrisorio. Per un attimo mi è dispiaciuto per Giordano Bruno anche se ho comprato il libro e lo tengo caro.


Schroeder the Fisherman

I sat on the bank above Bernadotte
And dropped crumbs in the water,
Just to see the minnows bump each other,
Until the strongest got the prize.
Or I went to my little pasture,
Where the peaceful swine were asleep in the wallow,
Or nosing each other lovingly,
And emptied a basket of yellow corn,
And watched them push and squeal and bite,
And trample each other to get the corn.
And I saw how Christian Dallman’s farm,
Or more than three thousand acres,
Swallowed the patch of Felix Schmidt,
As a bass will swallow a minnow.
And I say if there’s anything in man—
Spirit, or conscience, or breath of God
That makes him different from fishes or hogs,
I’d like to see it work![30]

Schroeder, il pescatore

Sedevo sulla riva del Bernadotte
e gettavo molliche nell’acqua,
per vedere i pesciolini combattere
finché il più forte otteneva la preda.
Oppure andavo al mio piccolo pascolo,
dove i maiali tranquilli se ne dormivano nella broda
o ammusando amorosamente fra loro,
e vuotavo un canestro di meliga gialla
e li osservavo spingersi e strillare e mordersi
e pestarsi l’un l’altro per arrivarci.
E così vidi la tenuta di Christian Dallman
di più di tremila acri,
inghiottire il pezzettino di Felix Schmidt,
come un luccio inghiotte un pesciolino.
Dico, se c’è qualcosa nell’uomo –
spirito o coscienza, o soffio di Dio –
che lo renda diverso dai pesci e dai porci,
mi piacerebbe vederlo![31]

La casa di Lee Masters a Petersburg
La casa di Lee Masters a Petersburg

Qual è la differenza tra gli esseri umani e gli animali? Il pescatore Schroeder osserva gli animali e gli uomini e conclude che si comportano nella stessa maniera che sovente definiamo “animalesca”. I pesci grandi mangiano quelli piccoli – sia nelle acque che in senso metaforico. Un ricco possidente non si accontenta di quello che ha ma deve appropriarsi anche del unico pezzettino del povero. Allora dove sta la differenza tra uomini e animali e con che diritto gli uomini si sentono superiori a loro? Oserei dire che gli animali sono migliori delle persone. Non fanno le guerre, non giudicano e a loro basta poco per essere felici. Della critica all’antropocentrismo ne abbiamo già parlato in un articolo sull’Apologia di Raymond Sebond di Michel de Montaigne e sull’Insostenibile leggerezza dell’essere di Milan Kundera.


Richard Bone

When I first came to Spoon River
I did not know whether what they told me
Was true or false.
They would bring me the epitaph
And stand around the shop while I worked
And say « He was so kind », « He was wonderful »,
« She was the sweetest woman », « He was a consistent Christian ».
And I chiseled for them whatever they wished,
All in ignorance of its truth.
But later, as I lived among the people here,
I knew how near to the life
Were the epitaphs that were ordered for them as they died.
But still I chiseled whatever they paid me to chisel
And made myself party to the false chronicles
Of the stones,
Even as the historian does who writes
Without knowing the truth,
Or because he is influenced to hide it.
[32]

Richard Bone

Quando arrivai a Spoon River
non sapevo se ciò che mi dicevano
era vero o falso.
Solevano portarmi l’epitaffio
e girare per il negozio mentre lavoravo
e dire « Era così gentile », « Era meraviglioso »,
« Era la più cara delle donne », « Era un vero cristiano ».
E io scolpivo per loro tutto quello che dicevano,
nell’assoluta ignoranza della sua verità.
Ma dopo, che vissi fra la gente di qui,
mi accorsi di come coerenti alla vita
fossero gli epitaffi ordinati dopo la morte.
Tuttavia, scolpii ancora tutto ciò per cui mi pagavano
e mi resi complice delle false cronache
su pietra,
come fa lo storico, che scrive
senza sapere la verità
o perché è influenzato a nasconderla.[33]

La verità è un concetto molto ambiguo perché non ce n’è mai una sola. Pur rendendosi conto della falsità degli epitaffi Richard Bone li scolpì lo stesso. In morte sembra pentito delle false cronache che ha inciso su pietra e che rimarranno per l’eternità. Gli storici spesso seguono le linee di pensiero di altri e si curano poco di quello che è vero e falso. Spesso nascondono anche deliberatamente i fatti per farli apparire diversamente. E’ la stessa cosa che oggi fanno molti giornalisti che nascondono intenzionalmente la verità per compiacere i relativi regimi politici dai quali dipendono, senza rendersi conto che in quel modo fungono da meri scribacchini per il potere. E’ curioso il riferimento metafinzionale all’opera dell’incisore di lapidi, visto che tutta l’opera è composta dagli epitaffi che egli scolpisce. Oltre a stare attenti alle false verità, Lee Masters ci dà anche un altro avvertimento importante: stare lontano dagli idoli.


Robert Southey Burke

[…]

I hated the love I had for you,
I hated myself, I hated you
For my wasted soul, and wasted youth.
And I say to all, beware of ideals,
Beware of giving your love away
To any man alive
.[34]

[…]

odiai l’amore che avevo avuto per voi,
odiai me stesso, odiai voi
per la mia anima sciupata e la sciupata giovinezza.
E dico a tutti, guardatevi dagli ideali,
guardatevi dal dare il vostro amore
ad anima viva.[35]

Staglieno (GE)
Staglieno (GE)

Con la storia della sua vita, Robert Southey Burke ci mette in guardia dagli idoli. E’ tempo sprecato adorare idoli di qualsiasi tipo, non importa se politici, religiosi o culturali. Prima o poi cade la maschera di tutti e l’unico modo per non essere ingannati e doversi pentire dopo è mantenere sempre una giusta distanza da qualsiasi idea e/o ideologia proclamata da altri. Una volta gli idoli erano perlopiù religiosi, ora la religione è passata di moda e ci sono tutta una serie di teorie strampalate che hanno occupato il suo posto.


Alcune poesie sono anche divertenti, come quella sulla signora Williams e sull’ottico Dippold che proponiamo in estratti:

Mrs. Williams

[…]

The stealers of husbands
Wear powder and trinkets,
And fashionable hats.
Wives, wear them yourselves.
Hats may make divorces—
They also prevent them
.[36]

La signora Williams

[…]

le ladre di mariti
usano cipria e cianfrusaglie,
e cappelli alla moda.
Mogli, usateli voi.
I capellini fanno i divorzi-
ma possono anche impedirli.[37]

La poesia delle mogli è particolare e sicuramente oggi non sarebbe politically correct senza che insorgano alcune femministe. Invece non si può negare che anche dopo 100 anni è un fenomeno diffuso che dopo il matrimonio sia le mogli che i mariti di sovente trascurino l’aspetto fisico. Se anche dopo anni di convivenza lavorassero sul rapporto e non si disinteressassero a vicenda forse tanti divorzi potrebbero veramente essere evitati. L’Antologia di Spoon River è bella anche perché tratta tematiche diversissime tra di loro e la vita di tutti i giorni si alterna con riflessioni filosofiche e argomenti più profondi.


Dippold the Optician

What do you see now? […]
Try this lens.
Depths of air.
Excellent! And now!
Light, just light making everything below it a toy world.
Very well, we’ll make the glasses accordingly
.[38]

Dippold, l’ottico

Che cosa vedete adesso? […]
Provate questa lente.
Abissi d’aria.
Ottima! E adesso?
Luce, soltanto luce che trasforma tutto il mondo in giocattolo.
Benissimo, faremo gli occhiali così.[39]

Ho letto questa poesia anni prima dell’Antologia sul panno per gli occhiali del mio ottico. Mi piace perchè è molto figurativa. Lo stupore quasi infantile deriva dal fatto che all’inizio del Novecento gli occhiali erano ancora qualcosa di magico. Quando leggo questa poesia mi viene sempre in mente il racconto Un paio di occhiali di Anna Maria Ortese. Una bambina miope immagina il mondo in tanti colori e sfumature e quando mette gli occhiali per la prima volta si rende conto quanto è brutto e misero il suo quartiere e rimane molto delusa. Il mondo ai suoi occhi era quasi più bello quando non lo vedeva ancora bene. Più ci avviciniamo alla fine dell’opera, più le poesie diventano filosofiche.


Arlo Will

Did you ever see an alligator
Come up to the air from the mud,
Staring blindly under the full glare of noon?
Have you seen the stabled horses at night
Tremble and start back at the sight of a lantern?
Have you ever walked in darkness
When an unknown door was open before you
And you stood, it seemed, in the light of a thousand candles
Of delicate wax?
Have you walked with the wind in your ears
And the sunlight about you
And found it suddenly shine with an inner splendor?
Out of the mud many times,
Before many doors of light,
Through many fields of splendor,
Where around your steps a soundless glory scatters
Like new-fallen snow,
Will you go through earth, O strong of soul,
And through unnumbered heavens
To the final flame!
[40]

Arlo Will

Avete mai visto un alligatore
uscire all’aria dal fango,
fissando senza sguardo il grande bagliore del pomeriggio?
Avete mai visto i cavalli in scuderia, la notte,
tremare e ritrarsi alla luce di una lanterna?
Avete mai camminato nell’oscurità
e poi una porta ignota vi si è aperta innanzi
lasciandovi, pareva, alla luce di mille candele
di cera finissima?
Avete mai camminato col vento nelle orecchie
e intorno la luce del sole
che improvvisamente splendeva di un segreto fulgore?
Tante volte dal fango,
davanti a tante porte di luce,
per sterminati campi di fulgori,
che intorno ai tuoi passi un tacito alone irradia
come neve recente,
tu andrai attraverso la terra, o anima forte,
e attraverso innumerevoli cieli,
verso la vampa finale![41]

A mio avviso è una delle poesie più belle di tutta la raccolta. Arlo Will riflette sulla rinascita dopo la morte e intanto ripercorre tanti piaceri terreni degli esseri umani nonchè degli animali. Ci sono diverse poesie di sfondo spirituale, questa secondo me è una delle migliori. Il paesaggio raffigurato dall’autore è quasi surrealistico. Da un lato la poesia ci trasmette le esitazioni dell’autore, dall’altro ci ricorda a vivere la vita appieno e godere di ogni singolo momento. Il linguaggio è molto solenne e oltre all’impronta spirituale è caratterizzata da un ritmo quasi musicale. Anche una delle ultime poesie della raccolta riprende il genere filosofico/spirituale.


Judson Stoddard

On a mountain top above the clouds
That streamed like a sea below me
I said that peak is the thought of Budda,
And that one is the prayer of Jesus,
And this one is the dream of Plato,
And that one there the song of Dante
,
And this is Kant and this is Newton,
And this is Milton and this is Shakespeare,
And this the hope of the Mother Church,
And this — why all these peaks are poems,
Poems and prayers that pierce the clouds.
And I said «What does God do with mountains
That rise almost to heaven?
»[42]

Judson Stoddard

Sulla cima di una montagna, sopra le nuvole
che come un mare mi si stendevano ai piedi,
dissi: quella vetta è il pensiero del Budda,
e quella è la preghiera di Gesù,
e questa il sogno di Platone,
e quella laggiù il canto di Dante,
e questa è Kant e questa è Newton,
e questa Milton e questa Shakespeare,
e questa la speranza della Madre Chiesa,
e questa … ma tutte queste vette son poemi,
poemi e preghiere che fendono le nubi.
E dissi: «Che cosa fa Iddio, delle montagne
che giungono quasi al cielo?»[43]

Caspar David Friedrich Il viandante sul mare di nebbia
Caspar David Friedrich: Der Wanderer über dem Nebelmeer (Il viandante sul mare di nebbia), 1818

Questa poesia vorrebbe rappresentare tutte quelle filosofiche dell’opera. Lee Masters elenca tutte le vette della storia del pensiero, sia religiose (Gesù, la Madre Chiesa, Budda) che filosofiche/letterarie (Platone, Dante, Milton, Shakespeare) per non dimenticare Newton in mezzo. Quando ho letto la poesia mi è venuto subito in mente il famoso quadro di Caspar David Friedrich che rappresenta maestosamente quello che vediamo quando dalla cima di una montagna volgiamo lo sguardo verso il basso dove sembra stendersi un mare di nuvole. Nella poesia c’è anche un chiaro riferimento intertestuale ad una poesia dei Fiori del Male di Baudelaire che riprende sia il tema generale dei poemi che si elevano che alcune espressioni come l’atto di fendere le nubi:

ÉLÉVATION

Au-dessus des étangs, au-dessus des vallées,
Des montagnes, des bois, des nuages, des mers,
Par delà le soleil, par delà les éthers,
Par delà les confins des sphères étoilées,

Mon esprit, tu te meus avec agilité,
Et, comme un bon nageur qui se pâme dans l’onde,
Tu sillonnes gaiement l’immensité profonde
Avec une indicible et mâle volupté
.
[…][44]

Elevazione

Al di sopra degli stagni, al di sopra delle valli,
delle montagne, dei boschi, delle nubi, dei mari,
oltre il sole e l’etere,
al di là dei confini delle sfere stellate,

spirito mio tu ti muovi con destrezza,
e, come un bravo nuotatore che fende le onde,
tu solchi gaiamente, le profonde immensità
con indicibile e maschia voluttà.[45]

[…]

La domanda finale resta: cosa se ne fa Dio delle montagne che giungono quasi al cielo? I grandi pensatori sono paragonabili alle cime delle montagne che si elevano sulla pianura. Le nuvole riprendono anche un’altra poesia che abbiamo riportato nell’epigrafe: Blind Jack dove Omero viene caratterizzato dalla fronte grande e bianca come una nuvola. Lee Masters morì nel marzo del 1950 a 82 anni. L’ultimo epitaffio è il suo in quanto Webster Ford fu lo pseudonimo con cui fece pubblicare l’Antologia di Spoon River per la prima volta.

Pavese si uccise l’estate dello stesso anno, ad agosto ma di anni ne aveva soltanto 42. Entrambi morirono in alberghi, soli e dimenticati da tutti. Grazie a Pavese la letteratura americana è diventata molto letta in Italia e oltre a Lee Masters ci ha fatto scoprire anche diversi altri autori americani, di cui uno sicuramente fu Hemingway.

Per non concludere questo articolo con troppa malinconia riportiamo una lettera fittizia molto divertente di Pavese a Hemingway e vorremmo ricordare che egli abbia sempre visto una specie di lontana parentela tra il Piemonte e il Midwest (o Middle West per dirlo con le sue parole) come se si trattasse di un cugino emigrato in America:

3 ott.

a Hemingway.

Did you ever see Piedmontese hills? They are brown, yellow and dusty, sometimes «green» … You’ld like them.

Yours C.P.[46]


[1] Edgar Lee Masters: Antologia di Spoon River. A cura di Fernanda Pivano, Torino: Einaudi, 2009 [1943] p. 150-151

[2] Cfr. Natalia Ginzburg: Le piccole virtù. Torino, Einaudi, 1962 „La nostra città rassomiglia, noi adesso ce ne accorgiamo, all’amico che abbiamo perduto e che l’aveva cara.“ (Ritratto d’un amico, p. 15)

[3] Cfr. Cesare Pavese: Lettere. 1926 – 1950.Torino, Einaudi, 1966, p. 101.

[4] I tre saggi sono: Edgar Lee Masters: Polemica antipuritana con ardore puritano; Il poeta dei destini; La grande angoscia americana e si trovano in: Cesare Pavese: La letteratura americana e altri saggi, Torino, Einaudi, 1951.

[5] Cesare Pavese: Il mestiere di poeta (a proposito di Lavorare stanca) (1934), in: Cesare Pavese, Lavorare stanca, Torino: Einaudi, 1943 [1936], p. 124

[6] Cfr. Edgar Lee Masters: Antologia di Spoon River, Postfazione di F. Pivano (I miei amici americani), p. 497.

[7] Lee Masters, Antologia di Spoon River, Nota introduttiva di Guido Davico Bonino, VI

[8] Ibid, VII

[9] Cfr. Lee Masters, Antologia di Spoon River, Prefazione di F. Pivano del 1948, XVII

[10] Marcel Proust: La strada di Swann, Torino: Einaudi, 2006, Nota di Natalia Ginzburg, XXI. Segue il famoso passaggio sul lavoro di formica e cavallo: „[…] Dovetti ritradurre le prime due pagine più d’una volta. Imparai allora, sopra Du coté de chez Swann, che cosa significava tradurre: quel lavoro di formica e cavallo che è una traduzione. Quel lavoro che deve combinare insieme la minuziosità della formica e l’impeto del cavallo. Mi ero innamorata perdutamente della Recherche, dopo quelle prime pagine, e non lessi nient’altro per molto tempo.“ (Ibid)

[11] Cesare Pavese: Il poeta dei destini in: La letteratura americana e altri saggi, Torino: Einaudi, p. 58

[12] Cesare Pavese: Polemica antipuritana con ardore puritano in: La letteratura americana e altri saggi, Torino: Einaudi, p. 46

[13] Cfr, Pavese, Polemica antipuritana, Ibid.

[14] Lee Masters, Antologia di Spoon River, Prefazione di Fernanda Pivano, XXIII

[15] Lee Masters, Antologia di Spoon River, p. 54

[16] Lee Masters, Antologia di Spoon River, 55

[17] Ibid, 110

[18] Ibid, 111

[19] Ibid, 130

[20] Ibid, 131

[21] Ibid, 134

[22] Ibid, 135

[23] Ibid, 148

[24] Ibid, 149

[25] Ibid, 191

[26] Ibid, 162

[27] Ibid, 163

[28] Ibid, 186

[29] Ibid, 187

[30] Ibid, 332

[31] Ibid, 333

[32] Ibid, 334

[33] Ibid, 335

[34] Ibid, 140

[35] Ibid, 141

[36] Ibid, 144

[37] Ibid, 145

[38] Ibid, 358

[39] Ibid, 359

[40] Ibid, 474

[41] Ibid, 475

[42] Ibid, 482

[43] Ibid, 483

[44] Charles Baudelaire: I fiori del male. Torino: Editrice La Stampa, 2003, p. 16

[45] Baudelaire, Fiori del male, 17

[46] Cesare Pavese: Il mestiere di vivere. Diario 1935 – 1950 A cura di Marziano Guglielminetti e Laura Nay Introduzione di Cesare Segre, Torino: Einaudi, 2014 [1952], p. 353.

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